Campo di applicazione e lavoro intermittente: i chiarimenti INL

Una delle tematiche più sensibili in merito alla corretta applicabilità del contratto di lavoro intermittente è il ruolo che il legislatore dà alla contrattazione collettiva.

 

L’art. 13, D.Lgs. n. 81/2015 recita “Il contratto di lavoro intermittente è il contratto, anche a tempo determi[1]nato, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in modo discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro inter[1]mittente sono individuati con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazio[1]ni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.

 

L’Ispettorato Nazionale del Lavoro – con Circolare dell’8 febbraio 2021, n. 1- ha fornito alcuni chiarimenti sul ruolo della contrattazione collettiva in merito al campo di applicazione del lavoro intermittente, anche alla luce della sentenza della Corte di Cassazione del 13 novembre 2019, n. 29423.

 

Al riguardo, l’INL ha ricordato nella circolare in questione che è demandata alla contrattazione collettiva l’individuazione delle «esigenze» per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, avendo cura di precisare che non viene riconosciuto alle stesse alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale.

 

 

PREMESSA: IL CONTRATTO DI LAVORO INTERMITTENTE.

Il contratto di lavoro intermittente è un contratto di natura subordinata, mediante il quale un lavoratore si pone a disposizione di un datore di lavoro che ne può utilizzare la prestazione lavorativa in base alle proprie esigenze.

Il lavoratore si pone a disposizione del datore di lavoro e può essere chiamato allo svolgimento della prestazione lavorativa in maniera discontinua, con intervalli di tempo (anche rilevanti) tra le due “chiamate”.  

Si possono individuare due distinte tipologie di contratti di lavoro intermittente:

 

Tutti i lavoratori che hanno effettuato la valutazione dei rischi possono concludere contratti di lavoro intermittente nelle ipotesi dettate dall’art. 13 del D.Lgs. n. 81/2015, e segnatamente nelle:

1. ipotesi c.d. oggettive, ossia per lo svolgimento delle prestazioni di carattere discontinuo o intermittente secondo le esigenze individuate dai contratti collettivi, anche con riferimento alla possibilità di svolgere le prestazioni in periodi predeterminati nell’arco della settimana, del mese o dell’anno. In mancanza di contratto collettivo, i casi di utilizzo del lavoro intermittente sono individuati con decreto del Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Resta ferma la possibilità di ricorrere al lavoro intermittente per i lavoratori definiti discontinui dalla normativa sull’orario di lavoro (D.M. 23 ottobre 2004, che richiama il R.D. n. 2657/1923);

 

2. ipotesi c.d. soggettive, nel senso che il contratto di lavoro intermittente può in ogni caso essere concluso con soggetti con meno di 24 anni di età, purché le prestazioni lavorative siano svolte entro il venticinquesimo anno, e con più di 55 anni”.

 

Ne consegue che l’utilizzo del job on call è ammesso nelle ipotesi previste dai contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative sul piano nazionale o territoriale (che dovranno obbligatoriamente individuare dei periodi predeterminati di utilizzo nel corso dell’anno); in riferimento alle attività contenute in un emanando D.M. (nell’attesa – ed in caso di assenza di una specifica disciplina contrattuale – si adotta il D.M. 23 ottobre 2004, che richiama il R.D. n. 2657/1923).

 

In ogni caso, in riferimento ai soggetti con più di 55 anni d’età e con meno di 24 anni età (in tal caso, le prestazioni svolte devono concludersi entro i 24 anni e 364 giorni).

Ne consegue che finché il CCNL non avranno previsto recepito la nuova normativa, sarà possibile stipulare un contratto di lavoro intermittente per le attività previste nel “nuovo” dm “emanando” (ovvero, nel D.M. 23 ottobre 2004). Ma anche se le attività da svolgere non sono previste tra quelle elencate dal D.M. del 2004, il contratto intermittente sarà comunque sempre ammesso per quei soggetti di età> 55 o di età inferiore ai 25, indipendentemente dal tipo di attività-

 

IL RUOLO DELLA CONTRATTAZIONE COLLETTIVA

La questione –  affrontata dalla giurisprudenza di legittimità, con sentenza n. 29423/2019 – e richiamata dall’INL nella circolare, verte sulla possibilità, o meno, della contrattazione collettiva (oltre che di individuare le circostanze di utilizzo del job on call) di vietare la possibilità – per le aziende che adottano uno specifico CCNL – il ricorso al lavoro intermittente.

 

La sentenza Conte di Cassazione n. 29423/2019 e la Circolare INL n. 1/2021 hanno fornito alcuni chiarimenti sul ruolo della contrattazione collettiva in merito al campo di applicazione del lavoro intermittente.

 

Nella sentenza in commento si legge che la contrattazione collettiva non può precludere l’utilizzo dei lavoratori intermittenti, affermando che è legittimo il lavoro intermittente, anche senza limiti di età, a condizione che la casistica sia comunque prevista dal R.D. n. 2657/1923.

 

Anche l’INL nella circolare richiamata ricorda che è demandata alla contrattazione collettiva l’individuazione delle «esigenze» per le quali è consentita la stipula di un contratto a prestazioni discontinue, ma non viene riconosciuto alle stesse alcun potere di interdizione in ordine alla possibilità di utilizzo di tale tipologia contrattuale. In altri termini i contratti collettivi possono specificare le fattispecie in cui sono ammessi i contratti a prestazione, ma non possono vietarne l’utilizzo.

 

Pertanto, nell’ambito dell’attività di vigilanza, precisa l’INL, gli Ispettori non dovranno tener conto di eventuali clausole sociali che si limitano a “vietare” il ricorso al lavoro intermittente, ma occorre verificare se il ricorso al lavoro intermittente sia invece ammissibile in virtù della applicazione:

 

Relativamente all’applicazione del lavoro intermittente nel settore dell’autotrasporto, l’INL ha chiarito che il CCNL vigente non contiene specifiche previsioni in ordine alla individuazione delle “esigenze” per le quali è consentita la stipula del contratto intermittente. Pertanto, ferma restando l’eventuale presenza di ipotesi c.d. soggettive, si deve fare riferimento alla tabella allegata al citato Regio Decreto che, tra le attività da considerare di carattere discontinuo annovera, al punto 8, quella del “personale addetto al trasporto di persone e di merci: personale addetto ai lavori di carico e scarico, esclusi quelli che a giudizio dell’ispettorato dell’industria e del lavoro non abbiano carattere di discontinuità”. La discontinuità è, dunque, riferibile alle attività del solo personale addetto al carico e allo scarico, quale ulteriore “sotto categoria” rispetto a quanti sono adibiti al trasporto tout court, “con esclusione delle altre attività, ivi comprese quelle svolte dal personale con qualifica di autista”.

 

 

Carla Martino

Avvocato Giuslavorista ITALPaghe.com

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