Carcerazione preventiva e licenziamento del dipendente

Una delle problematiche che le aziende si trovano spesso ad affrontare è quella della prosecuzione del rapporto

di lavoro con il dipendente sottoposto a misure di carcerazione cautelare.

 

Si tratta, di una situazione tutt’altro che sporadica, che, a fronte di una frequenza importante, richiede di essere analizzata in riferimento alle implicazioni giuridiche, connesse, in special modo, alla prosecuzione del rapporto di lavoro.  

 

La prima domanda che le aziende si pongono è in effetti se, in presenza di un provvedimento di carcerazione cautelare, sia immediato da parte dell’azienda procedere con il recesso (mediante licenziamento) dal rapporto di lavoro.

 

Partendo dal presupposto che la misura cautelare deriva da comportamenti non connessi al rapporto di lavoro (il che si presterebbe a valutazioni di ben altro genere) la risposta è naturalmente negativa.

 

La soluzione la offre la giurisprudenza di legittimità che, di recente, con la sentenza di seguito in commento, ha ribadito che il provvedimento di cattura, o comunque di restrizione della libertà personale del lavoratore dipendente, non può rappresentare un inadempimento agli obblighi contrattuali tali da giustificare il licenziamento disciplinare.

 

Per linee generali, è da escludere quindi la riconducibilità del caso in esame al licenziamento per inadempimento, sia esso per giusta causa che, per giustificato motivo soggettivo.

 

Del resto, le stesse norme di attuazione del codice di procedura penale osservano una particolare tutela nei riguardi dei lavoratori licenziati esclusivamente in ragione della sottoposizione alla misura della custodia cautelare, ovvero degli arresti domiciliari poi rivelatasi ingiusta, prevendendo che “Chiunque venga sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, ovvero a quella degli arresti domiciliari e sia stato per tali motivi licenziato dal posto di lavoro che occupava prima dell’applicazione della misura, ha diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro, laddove sia pronunciata a suo favore una sentenza di assoluzione, di proscioglimento, di non luogo a procedere, ovvero sia disposto provvedimento di archiviazione”.

 

Di contro, in caso di detenzione del lavoratore per fatti non dipendenti dal rapporto di lavoro, la legittimità del licenziamento deve essere valutata considerando tutte le circostanze utili a misurare una certa soglia di tollerabilità dell’assenza

 

L’orientamento della giurisprudenza- Brevi note sulla sentenza n. 6714 del 2021

Come anticipato, con la sentenza n. 6714 del 10 marz0 2021, la Cassazione è tornata ad occuparsi degli effetti della carcerazione preventiva sul rapporto di lavoro, offrendo principi utili ai fini della soluzione di tale fattispecie.

 

Nella sentenza in commento, i giudici di legittimità hanno riconfermato il principio per cui il dipendente assente dal lavoro, perché carcerato non può essere licenziato per “inadempimento”; tuttavia il licenziamento può avvenire ai sensi dell’art. 3 della legge n. 604 del 1966  ovverossia per giustificato motivo con preavviso determinato da un notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro ovvero da ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa.

 

In linea con le precedenti statuizioni, la Suprema Corte precisa che la carcerazione preventiva o esecutiva per fatti estranei allo svolgimento del rapporto di lavoro non rappresenta inadempimento degli obblighi contrattuali, ma è un fatto oggettivo che determina la sopravvenuta temporanea impossibilità della prestazione lavorativa a norma dell’art. 1464 del c.c.

 

Pertanto, la sopravvenuta impossibilità temporanea di svolgere le proprie mansioni per evento estraneo al rapporto di impiego legittima l’imprenditore a recedere dal contratto, ai sensi dell’art. 1464 c.c., quando, sulla base di tutte le circostanze del caso concreto, non si possa prevedere “la ripresa dell’attualità del rapporto senza significativi pregiudizi per l’organizzazione del datore di lavoro in relazione alla prevedibile durata dell’assenza” (Cass. n. 1591/2004).

 

Nell’ipotesi di assenza dal lavoro per carcerazione preventiva, la persistenza dell’interesse dell’imprenditore a ricevere le residue prestazioni del dipendente deve essere accertata con riguardo ai “criteri oggettivi”, riconducibili all’art. 3, L. 15 luglio 1966, n. 604 (concernente “norme sui licenziamenti individuali”), e cioè con riferimento alle ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa, senza tuttavia oneri di repêchage.

 

Ciò in quanto, a differenza di quanto accade nel caso di licenziamento per giustificato motivo oggettivo – vi è un fatto oggettivo, estraneo alla volontà del datore di lavoro e non riconducibile alle sue scelte imprenditoriali, che incide sull’organizzazione aziendale, comportandone, di per sé, una modificazione connessa all’incapacità totale di usufruire, per l’imprevedibilità della durata della sospensione, di ogni prestazione lavorativa di quel determinato dipendente, con conseguente impossibilità di ipotizzare ogni ricollocamento alternativo e/o parziale. In altri termini, vi è una ragione ostativa che rileva intuitu personae, sicché il repêchage è escluso per un’impossibilità intrinseca di operatività di detto istituto, che richiede, invece, pur sempre una fungibilità e un’idoneità attuale lavorativa (sia pure parziale) del dipendente, sincroniche alla determinazione datoriale.

 

La Cassazione ha quindi ritenuto legittimo il licenziamento intimato ad un prestatore, sottoposto a misura restrittiva della libertà personale per più di un anno, sul presupposto che il protrarsi della sua assenza aveva determinato la perdita di interesse del datore di lavoro alla eventuale prestazione residua.

 

Considerazioni conclusive

La sentenza esaminata non è l’unico precedente sul tema, ed inserendosi in un filone giurisprudenziale piuttosto consolidato, consente di evidenziare l’assoluta delicatezza di un provvedimento di licenziamento durante la carcerazione preventiva, che, se adottato, può e deve essere esclusivamente ancorato sulle ragioni e sulle valutazioni oggettive sopra esposte, legate all’organizzazione aziendale e all’apprezzabile previsione della durata della misura cautelare, non potendo in alcun caso toccare la sfera processuale e le imputazioni in capo al dipendente (almeno in questa fase).

 

È pur vero che spesso non può prescindersi anche da considerazioni che spesso coinvolgono la peculiarità della singola fattispecie.

Pensiamo al caso del dipendente che viene accusato per reati contro il patrimonio, che per quanto estranei al rapporto di lavoro, possono avere una incidenza sulla tipologia di attività lavorativa eventualmente svolta (es. addetto alla cassa).

 

Il dato che però viene senz’altro in rilievo, alla luce del filone di pensiero piuttosto consolidato, è che il lavoratore non possa essere in questa fase ufficialmente “sanzionato” dal punto di vista disciplinare, dovendosi ancorare l’eventuale provvedimento di risoluzione del rapporto di lavoro a fattori oggettivi ed esterni.

 

Nella prassi, tutto quanto detto, si traduce nel più frequente ricorso all’aspettativa non retribuita durante il periodo di carcerazione preventiva, piuttosto che l’adozione di un provvedimento di licenziamento.

 

Del resto nulla può escludere che venga accertato anche lo stato di non colpevolezza del lavoratore assoggettato al provvedimento di carcerazione cautelare; il che farebbe venire meno i presupposti del provvedimento espulsivo, anche se del caso motivato per giustificato motivo oggettivo, con il ripristino delle condizioni occupazionali preesistenti al licenziamento stesso.

 

Naturalmente al ripristino del rapporto di lavoro non può trovare corrispondenza anche il contestuale riconoscimento delle retribuzioni non percepite a decorrere dall’interruzione del rapporto e sino alla riassunzione; per il periodo in questione è venuto meno il sinallagma tra espletamento della prestazione lavorativa ed erogazione della retribuzione, per ragioni non imputabili al datore di lavoro, che almeno nulla deve al lavoratore a titolo di emolumenti retributivi nel periodo in cui lo stesso era nella impossibilità oggettiva di svolgere la sua prestazione di lavoro.

 

 

Anna De Luca Bosso

Associate ITALPaghe.com

CONTATTACI
Compila il form sottostante per richiedere informazioni o un preventivo gratuito


INVIA RICHIESTA