Con la Nota n. 616/2025 in commento, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha fornito chiarimenti sulla legittimità dell’erogazione anticipata e continuativa in busta paga del TFR.
Nella nota, in particolare, tenuto conto delle previsioni normative vigenti e della giurisprudenza, si definiscono i limiti entro cui è ammessa l’anticipazione del TFR.
La normativa di legge
Il trattamento di fine rapporto è una forma di retribuzione differita riconosciuta al lavoratore al termine del rapporto di lavoro.
Secondo quanto previsto nell’articolo 2120 del Codice civile, l’anticipazione del TFR è ammessa solo a determinate condizioni: ovvero, il lavoratore deve avere una anzianità di servizio pari ad 8 anni per la stessa azienda.
Inoltre l’anticipazione può essere richiesta solo in presenza di specifiche motivazioni, ovverossia acquisto della prima casa per sé o per i figli; spese sanitarie per terapie o interventi straordinari riconosciuti tali dalle competenti strutture pubbliche; eventuali spese da sostenere durante i periodi di congedo parentale e per la formazione del lavoratore; motivazioni ulteriori previste dai CCNL o da accordi individuali.
Inoltre, il lavoratore può richiedere massimo il 70% del TFR maturato fino al momento della richiesta
Infine, la richiesta di anticipazione è ammessa solo una volta nel corso dello stesso rapporto di lavoro
A tanto, si è aggiunto quanto previsto, dalla legge n. 190/2014 che aveva introdotto in via sperimentale e limitatamente al periodo 1° marzo 2015 - 30 giugno 2018, la possibilità per i lavoratori del settore privato di ricevere mensilmente la quota maturata di TFR in busta paga.
I chiarimenti dell’Inl sull’anticipazione mensile del TFR
Interpellato sulla vicenda, nella nota in commento, l’Ispettorato Nazionale del Lavoro ha precisato che l’erogazione sistematica del TFR in busta paga, al di fuori dei casi previsti dalla legge, non è conforme alla normativa. In particolare, viene sottolineato che la pattuizione collettiva o individuale non può comportare l’automatico trasferimento mensile del TFR, poiché questo trasformerebbe la somma in una componente retributiva ordinaria, soggetta a contribuzione previdenziale e fiscale.
Tale interpretazione si fonda anche sull’ordinanza della Corte di Cassazione n. 4670 del 22 febbraio 2021, che qualifica come “mera integrazione retributiva” le somme corrisposte mensilmente al di fuori dei presupposti legittimi di anticipazione.
Del resto, nella stessa nota si ricorda che, dal 1° gennaio 2007, il datore di lavoro con almeno 50 dipendenti è obbligato al versamento della quota di Tfr al Fondo di tesoreria istituito ai sensi dell’articolo 1, commi 756 e 757, L. 296/2006, le cui modalità attuative sono disciplinate dal D.M. 30 gennaio 2007. Tale versamento assume la natura di contribuzione previdenziale, stante l’equiparazione del Fondo a una gestione previdenziale obbligatoria, con applicazione dei principi di ripartizione e dell’automaticità delle prestazioni di cui all’articolo 2116, cod. civ., con la conseguenza che le quote di Tfr versate al Fondo rispondono al regime di indisponibilità proprio della contribuzione previdenziale, ferme restando le ipotesi di pagamento anticipato del Tfr nei casi e nei limiti normativamente previsti.
Controlli per l’erogazione non conforme del TFR
Laddove venga riscontrata una prassi di erogazione mensile del TFR non conforme alla normativa, il personale ispettivo dell’INL è tenuto a intervenire.
In particolare, ai sensi dell’art. 14 del D.Lgs. n. 124/2004, è previsto che venga intimato al datore di lavoro di accantonare le quote indebitamente erogate. In caso di inottemperanza al provvedimento di disposizione, si applica una sanzione amministrativa compresa tra 500 e 3.000 euro, con un importo determinato in 1.000 euro, in quanto non è possibile ricorrere alla procedura di diffida prevista dall’art. 13, comma 2, dello stesso decreto legislativo.
Carla Martino
Avvocato Giuslavorista ITALPaghe.com