Nota a cass. n. 10649 del 2024
Con l’ordinanza n. 10640 del 19 aprile 2024, la Corte di Cassazione affronta gli elementi specifici del cd. licenziamento per scarso rendimento, ovvero quello determinato da un grave inadempimento del lavoratore nell’esecuzione della prestazione lavorativa.
La fattispecie di licenziamento in questione è nata dalla elaborazione giurisprudenziale, che qualificato il licenziamento in questione quale licenziamento disciplinare quale fattispecie di risoluzione del contratto per inadempimento ex art. 1453 c.c. e s.s. in presenza di un grave inadempimento degli obblighi contrattuali ascrivibile al lavoratore.
Nella pronuncia in questione la Corte specifica che l’inadempimento del dipendente necessita di essere inquadrato alla luce del fatto che il lavoratore subordinato, in forza del contratto di lavoro, si obbliga solamente alla messa a disposizione delle proprie energie nei confronti del datore di lavoro. Ne discende, quindi, che il mancato raggiungimento del risultato prefissato dal datore di lavoro non può costituire, di per sé, un presupposto sufficiente ad intimare il licenziamento per scarso rendimento.
Al riguardo la Cassazione evidenzia che, in presenza di parametri idonei ad accertare che la prestazione resa dal lavoratore sia eseguita con la diligenza e la professionalità media, il discostamento da detti parametri possa costituire uno “scarso rendimento” tale da giustificare il licenziamento.
Per la configurazione dello “scarso rendimento”, oltre all’elemento oggettivo (e. l’inadempimento contrattuale), occorre anche l’elemento soggettivo, ovverosia la “colpa” del lavoratore (che qualifica il licenziamento per scarso rendimento come un licenziamento “ontologicamente disciplinare”). La “colpa” contraddistingue il “licenziamento per scarso rendimento” da tutte le altre tipologie di licenziamento fondate sì su circostanze inerenti alla persona del lavoratore, ma non qualificabili propriamente come “inadempimenti contrattuali” in quanto situazioni che si verificano sul piano oggettivo e che determinano una “mera perdita di interesse” alla prestazione (quali, la sopravvenuta inidoneità per infermità fisica, la carcerazione, il ritiro della patente, la mancanza del titolo professionale abilitante, etc.).
In riferimento in particolare al licenziamento per perduranti “assenze per malattia” del dipendente, la Cassazione allora coglie l’occasione per ribadire che trattasi non di licenziamento “per scarso rendimento”, ma di fattispecie regolamentata dall’art. 2110 c.c..
In particolare, il licenziamento per superamento del periodo di comporto (intendendosi per tale il superamento del limite di tollerabilità dell’assenza) costituisce un’autonoma fattispecie di licenziamento, “diversa da quelle riconducibili ai concetti di giusta causa o giustificato motivo di cui all’art. 2119 cod. civ. e agli artt. 1 e 3 legge n. 604 del 1966”;
Con riferimento al licenziamento per malattia del lavoratore (che, come detto, non rientra nel licenziamento “per scarso rendimento”), vengono quindi ribaditi i seguenti principi: a) da un lato, il licenziamento intimato in ragione della perdurante assenza del dipendente prima del superamento del periodo di comporto è sempre affetto da nullità, in quanto operato in violazione di legge; b) dall’altro lato, l’avvenuto superamento del periodo di comporto, è condizione sufficiente di legittimità del licenziamento, per cui “non è necessaria la prova del giustificato motivo oggettivo né della sopravvenuta impossibilità della prestazione lavorativa, né della correlata impossibilità di adibire il lavoratore a mansioni diverse”.
Carla Martino
Avvocato Giuslavorista ITALPaghe.com