Il trasferimento del dipendente per incompatibilita’ ambientale non integra una condotta di mobbing

Nota a Corte di Cassazione, 12 maggio 2021 n. 12632

Con la recente sentenza n. 12623 del 12 maggio la Corte di Cassazione si è occupata della questione relativa al trasferimento disciplinare del dipendente per incompatibilità ambientale sul luogo di lavoro, affermando non si possa parlare di “mobbing” qualora il datore di lavoro effettua gli spostamenti con l’intento di ripristinare un ambiente di serenità lavorativa (serenità che, nel caso di specie, era stata compromessa da una serie di condotte tenute da un dipendente pubblico).

 

Il caso affrontato riguarda quello di un comandante dei vigili urbani il quale agiva dinanzi al tribunale per ottenere il risarcimento del danno cagionato dalla condotta vessatoria che, a suo dire, avrebbe subito dal datore di lavoro, che lo aveva trasferito e destituito dalla sua posizione.

 

Il Tribunale di primo grado rigettava il ricorso e il dipendente proponeva gravame dinanzi alla Corte d’Appello.

 

Anche il giudice dell’appello non riteneva di discostarsi dalla pronuncia del giudice di primo grado perché ì provvedimenti di trasferimento e destituzione erano giustificati dagli abusi commessi dal dipendente, che era solito eliminare verbali di contravvenzioni elevate da appartenenti al corpo dei vigili urbani e che, quindi, il procedimento disciplinare, era stato avviato per assicurare la legalità dell’azione amministrativa dell’Ente; inoltre, gli atti adottati dal Comune datore di lavoro “intervenivano in un contesto di difficoltà nei rapporti interpersonali che acuivano tensioni e problematiche tanto da costituire certamente una condizione di incompatibilità ambientale”, escludendo qualsiasi tipo di intento persecutorio da parte del comune stesso.

 

Il dipendente pubblico proponeva ricorso per Cassazione ritenendo la motivazione del giudice contraddittoria e insufficiente in relazione all’intento persecutorio, in violazione degli artt. 2087, 1218, 1224 e 2043 c.c.

 

Anche in sede di giudizio di legittimità le doglianze del dipendente non sono state accolte, in quanto secondo gli Ermellini, l’Ente ha agito sulla base di motivi giuridici e mai con l’intenzione di vessare il dipendente. Di seguito si riportano i punti salienti della sentenza.

 

La decisione della Corte

Nella pronuncia in commento, la Corte ha ribadito il consolidato principio secondo il quale “l’elemento qualificante la condotta di mobbing non è da ricercarsi nella legittimità o illegittimità dei singoli atti bensì nell’intento persecutorio che li unifica, che deve essere provato da chi assume di avere subito la condotta vessatoria e che spetta al giudice del merito accertare o escludere, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto”.

Nel caso specifico è stato quindi affermato che “il trasferimento disciplinare [aveva] tratto origine da una incompatibilità ambientale emersa dagli atti di causa [quindi] (…) va escluso l’intento persecutorio laddove gli spostamenti siano effettuati dal datore di lavoro con l’intento di ripristinare un ambiente di serenità lavorativa e gli stessi possono invece essere apprezzati dal giudice per escludere una condotta mobbizzante”.

Secondo i Giudici di legittimità, non può ravvisarsi pertanto l’intento persecutorio laddove parte datoriale disponga un trasferimento disciplinare al fine di ripristinare un ambiente di serenità lavorativa e quindi in mancanza di intento persecutorio nei confronti del dipendente.

Sulla base di tali presupposti, ed in assenza di prova contraria, era emerso inequivocabilmente che il trasferimento impugnato traeva esclusivamente origine da un’accertata incompatibilità ambientale nell’ufficio di provenienza del lavoratore alla quale era necessario porre rimedio. Conseguentemente, non essendoci stata alcuna forma di mobbing, venivano anche rigettate le ulteriori richieste in merito alla quantificazione del danno.

 

Carla Martino

Avvocato Giuslavorista ITALPaghe.com

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